Il corsivo di Patrizia Favali
Decreto Salvini: “rischia di attivare una nuova emergenza sociale”
Roma, 12 ottobre 2018. La conferma dell’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari; l’introduzione dei “casi speciali”; l’incremento ulteriore dei fondi dedicati ai rimpatri; il (nuovamente) raddoppiato termine per il trattenimento nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (C.P.R.), con l’eventuale prerogativa di trattenere le persone in luoghi altri “a disposizione delle forze di polizia” (come se l’immigrazione fosse una questione essenzialmente di sicurezza); l’impossibilità per i richiedenti asilo (nuovamente) di ottenere l’iscrizione anagrafica fino alla definizione del procedimento di richiesta di protezione; il raddoppio del tempo necessario per ottenere la cittadinanza e la creazione di cittadini di serie A e cittadini di serie B; la mortificazione del diritto alla difesa con interventi importanti in materia di patrocinio a spese dello Stato. Su questi punti – ma non solo su questi – che caratterizzano il Decreto Legge 113 del 4 ottobre scorso (il c.d. Decreto Salvini) l’Ordine Regionale degli Assistenti Sociali del Lazio chiede che vi sia una approfondita riflessione su quelle che potrebbero essere le conseguenze in termini di rispetto dei diritti inviolabili delle persone, categoria alla quale – è bene ricordarlo sempre – appartengono anche i migranti.
Questo Decreto è un’occasione persa due volte: in un momento storico in cui la riduzione degli sbarchi permetterebbe di uscire dalla logica emergenziale, viene scelta una strada pregna di stereotipi e semplificazioni e, in sé, non fornisce soluzioni praticabili a un fenomeno radicato e strutturale come l’immigrazione rischiando di attivare una nuova emergenza sociale a cui saremo chiamati a rispondere come professionisti, come cittadini, come persone.
Quello della residenza, ad esempio, è un diritto che non può essere ridiscusso, perchè ad esso sono strettamente correlati percorsi sul territorio fondamentali per emancipare le persone dall’accoglienza (scuola, formazione, lavoro) e per garantirne la loro tutela psico-socio-sanitaria.
Eliminare una forma di protezione rendendo più precaria la tutela delle persone, inoltre, crea un rallentamento e un impoverimento del percorso che le stesse dovrebbero effettuare verso l’autonomia. Viene a mancare, in tal modo, il presupposto per una nuova progettazione della propria vita verso l’inclusione sociale. Gli assistenti sociali sono profondamente convinti che la clandestinità si combatta attraverso forme di riconoscimento che, in questo momento, passano anche attraverso la protezione umanitaria.
Questo Decreto aumenterà a dismisura il numero di invisibili che andranno a nascondersi ai margini e nelle periferie delle città o finiranno nei C.P.R., il non-luogo per eccellenza, con ulteriori e più gravosi costi a carico dello Stato e dei cittadini e con maggiore facilità di entrare in circuiti illegali.
Totalmente da condannare la scelta di smantellare il sistema di accoglienza, che invece di considerare la possibilità di superare l’emergenza in favore di circuiti professionali più virtuosi (vedi il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati – S.P.R.A.R.), punta proprio sul potenziamento dei C.P.R..
E ancora. Limitare l’accesso agli S.P.R.A.R. ai soli titolari di protezione internazionale e ai Minori Stranieri Non Accompagnati, lascia fuori – come viene sottolineato da più parti – la gran parte dei migranti (Richiedenti asilo e Titolari di protezione umanitaria) che rimarrebbero sprovvisti dei servizi professionali finalizzati all’inclusione sociale: servizi professionali che vanno a tutto vantaggio anche dei cittadini italiani, perchè volti a prevenire i rischi di marginalità sociale e di insicurezza.
Serve, dunque, una revisione profonda del Decreto intervenendo nelle parti che vedono lesi i diritti fondamentali delle persone così come sanciti nella nostra Carta Costituzionale e che mettono radicalmente in discussione il percorso e il processo portati avanti in questi anni in tema di accoglienza andando ad incidere sul complesso delle norme che – pur con qualche distorsione – sono state in grado di governare il fenomeno; scardinando, inoltre, quel processo di relazioni che hanno creato una governance multilivello in grado di offrire una gestione condivisa e partecipata del fenomeno migratorio tra le Istituzioni e il Terzo settore.
Come comunità professionale esprimiamo tutta la nostra preoccupazione per le conseguenza di questa Decreto e ci rendiamo disponibili a qualsivoglia interlocuzione in sede di iter parlamentare di conversione. Un punto deve essere fermo: il riconoscimento dei diritti di tutti, non è tale se rimangono fuori quelli di qualcuno.
Ultima modifica il 19 Aprile 2021